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IL PROVVEDIMENTO DI ESPULSIONE DEL CITTADINO STRANIERO È NULLO SE TRADOTTO ERRONEAMENTE

Con decreto del 15 aprile 2016, il Giudice di Pace di Palermo, ha accolto il ricorso proposto da un cittadino togolese avverso un provvedimento di espulsione emesso, nei suoi confronti, dal Prefetto della Provincia di Palermo.

Il ricorrente, in particolare, lamentava la sostanziale difformità della traduzione in lingua francese del decreto prefettizio rispetto all’originale in lingua italiana.

Nel corpo del provvedimento tradotto in lingua francese, peraltro, non veniva barrata alcuna delle caselle che esplicitano i motivi posti alla base del provvedimento ablatorio, risultando, in tal modo, contestate tutte le fattispecie di espulsione previste dall’ordinamento.

Il Giudicante, nella pronuncia in esame, ha ritenuto le circostanze sopra evidenziate ostative ad una piena e precisa identificazione degli addebiti mossi al ricorrente, e tali da impedire a quest’ultimo di articolare un’efficace difesa relativamente agli stessi.

Ciò trova conferma nell’art. 6, comma 3, lett. a), della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, richiamato dallo stesso Giudicante nella pronuncia in commento, secondo il quale “Ogni accusato ha diritto a essere informato, nel più breve spazio di tempo, nella lingua che egli comprende e in maniera dettagliata, della natura e dei motivi dell’accusa a lui rivolta”.

La giurisprudenza in materia di immigrazione è ricca di precedenti che, nell’intento di salvaguardare il diritto di difesa dello straniero, hanno dichiarato la nullità dei provvedimenti di espulsione che non siano stati tradotti nella lingua del Paese d’origine del cittadino extracomunitario o in altra lingua allo stesso conosciuta (ex plurimis Cass. pen. Sez. I, 26 marzo 2008, n. 14986; Sez. I, 26 ottobre 2006, n. 2186).

Punto di svolta della pronuncia in commento è la contestazione, non tanto della mancata traduzione del provvedimento ablatorio nella lingua conosciuta dallo straniero, bensì della sostanziale difformità dello stesso rispetto all’originale in lingua italiana.

La stessa Corte di Cassazione, già dal 1999, con la sentenza n. 1527, ha affermato quanto segue “Non solo la mancata traduzione nell’idioma dello straniero, dunque, ma anche una traduzione inesatta o incompleta, può risultare lesiva del diritto di difesa, intendendo, con tale assunto, la possibilità per la parte di recepire in concreto le scelte della P.A. e, di conseguenza, poter contestare e contraddire le stesse”.​

A cura di Aloisia Varvaràavvocato del Foro di Palermo.

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